Cesare Pergola: L’arte del disegno
di Luciano Migliaccio
“Il disegno è cosa mentale” è un’affermazione attribuita a Leonardo da Vinci . La frase, esprime la convinzione che l’atto di disegnare sia la traduzione razionale dell’esperienza visiva e, pertanto, una forma di conoscenza della realtà attraverso l’immagine comparabile alla parola.
Nella tradizione figurativa nata dall’esperienza artistica di Leonardo e di Michelangelo, a partire dalla fondazione dell’Accademia Fiorentina delle Arti del Disegno ad opera di Giorgio Vasari, nel 1563, le arti figurative, pittura, scultura, architettura, sono riconosciute quali “arti sorelle”, figlie di un solo padre, il Disegno, perché tutte si basano sul fondamento della conoscenza grafica.
Il disegno è dunque la traduzione dell’atto di vedere formulata dalla mente per mezzo della mano. La percezione visiva del mondo, fissata nella mente dal continuo esercizio grafico, forma le immagini nella fantasia dell’artista che, a seconda del tipo di rappresentazione scelto, rivelano non solo la sua capacità di osservazione, ma anche al suo temperamento morale. Il disegno é, pertanto, il suo stile, l’espressione unica della sua personalità.
Per secoli, su questo presupposto si è costruita nel pensiero occidentale la nozione dell’arte figurativa, somma espressione visiva dell’autore, soggetto capace di operare la sintesi tra sensibilità, percezione e conoscenza, grazie al suo stile e alla sua tecnica unica, e di reinventare la tradizione con le sue creazioni.
Il disegno non è però solo il mezzo per formare l’immaginazione dell’artista, ma rivela le sua capacità creativa per mezzo dei modelli, sia grafici, sia plastici, che ne sono la manifestazione visibile prodotta dalla mano. L’esecuzione del modello è dunque un passaggio fondamentale affinché l’opera prenda vita.
Nel mondo moderno, tuttavia, la tecnologia ha creato macchine che sono protesi della mente, dell’occhio e della mano umana, capaci di vedere, di disegnare, di produrre modelli grafici o tridimensionali per mezzo di programmi informatici, telecamere e stampanti che sembrano simulare perfettamente i processi artistici tradizionali. Qual’è il significato nel campo dell’esperienza creativa e estetica di questa trasformazione que investe la cultura e la vita quotidiana del nostro tempo in tutti i settori?
La proposta espositiva di Cesare Pergola, artista con una lunga esperienza anche nel campo dell’architettura, formato nella tradizione fiorentina del disegno, è un modo affascinante per invitarci a riflettere su tali temi straordinariamente attuali e importanti per la cultura contemporanea, eppure ancora poco presenti all’attenzione del grande pubblico. Soprattutto, nelle metropoli dell’America Latina, e particolarmente in Brasile, dove fenomeni culturali e tecnologie di avanguardia, nati dall’esperienza storica occidentale, convivono e si intrecciano con forme di vita e tradizioni amerindie e africane, portatrici di concezioni artistiche profondamente diverse.
La mostra è, dunque, un invito a riflettere sulla condizione tipica del nostro tempo: è basata su un processo di decostruzione che sposta l’attenzione sui linguaggi artistici e sulle esperienze estetiche attuali, appropriandosi di opere considerate capolavori della storia dell’arte italiana. Il percorso si svolge in diversi momenti. Il primo individua alcune opere d’arte di celebri autori, riprodotte in moltissimi contesti, dai manuali, alle guide dei musei, alle cartoline postali. In questo caso si tratta della Deposizione (1528), opera del Pontormo (1494 – 1557), conservata nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, e della Deposizione (1602) di Michelangelo da Caravaggio (1571 – 1610), oggi nella Pinacoteca Vaticana. Si tratta di opere con lo stesso tema, che tuttavia sono considerate i vertici di due movimenti artistici completamente diversi dal punto di vista stilistico: il Manierismo e il Naturalismo.
Nel secondo momento, le due opere sono oggetto di una traduzione in modelli tridimensionali digitali generati da un programma informatico che le riproduce tramite una rete di punti, uniti da linee. Le superfici così create, grazie a altri programmi, potrebbero ricevere ombreggiatura, colori e testure digitali trasformandosi in modelli plastici convenzionali con l’uso di una stampante laser.
Tuttavia, invece di questo automatico passaggio meccanico dalla pittura all’oggetto tridimensionale, la terza fase della produzione prevede l’intervento della mano umana. L’immagine della rete prodotta dal computer è proiettata su carta nella scala dell’opera originale ed è ricopiata meticolosamente con l'inchiostro in un paziente e lento esercizio manuale che ricorda quello dell’amanuense prima dell’invenzione della stampa.
Grazie all’intervento della macchina, le pitture private dei colori e delle espressioni umane, ridotte a puri tracciati di volumi, creano un effetto di straniamento in relazione all’immagine, simile a quello prodotto nel teatro dalla recitazione di stile brechtiano, rispetto al naturalismo tradizionale.
Come nel rilievo di una architettura, la tecnica riduce le pitture a tracciati di linee disegnando una costruzione spaziale pura, anteriore all’interferenza di qualsiasi contenuto narrativo, emotivo e del colore. Gli impassibili manichini digitali nelle pose dei personaggi, come quelli inquietanti, in costumi classici, dei dipinti metafisici di Giorgio De Chirico, provocano una rivelazione, ritirando l’opera dal suo contesto storico consacrato e riportandola alla condizione di modello.
La mostra dà allora un nuovo significato al processo di copia delle opere d’arte antiche, che fu la base dell’educazione accademica. Provocando l’interferenza tra la riproduzione digitale e l’esercizio manuale e mentale del disegno riattualizza questa tecnica che potrebbe apparire sorpassata dalla grafica digitale, ma non lo è. Vedere un’opera e riprodurla per mezzo di un programma informatico è ben diverso dal farlo con occhi e mani umane. La nuova tecnologia infatti offre letture e forme inedite di ricostruzione dell’opera d’arte antica, mostrandone potenzialità sorprendenti, soprattutto nel campo della sperimentazione spaziale, che molto spesso nei musei restano occulte sotto il manto dell’erudizione storica, letteraria e iconografica.
Il processo ci fa riflettere inoltre sulla trasformazione storica della nozione di autore nell’attualità. Se gli artisti del pop americano come Andy Wahrol e Roy Lichtenstein rinunciarono coscientemente all’idea della creazione e dello stile individuali utilizzando nella loro pittura il linguaggio della grafica industriale, dalla propaganda commerciale al fumetto, in questo caso il processo creativo va dalla pittura al modello informatico, ed è condiviso con la macchina digitale, sovvertendo la relazione tra invenzione e esecuzione.
A partire dalla condizione tecnologica contemporanea, Cesare Pergola sottopone a critica le stesse nozioni di disegno, copia, modello. Egli, come ogni vero artista, si appropria di tecniche nate nel campo della pratica e le usa in modo sovversivo per farne l’occasione di una nuova esperienza estetica. Attraverso un confronto tra l’operare della macchina e quello della mano umana propone una riflessione sulle diverse modalità di tempo, sulle trasformazioni in atto nel campo dell’arte e sul ruolo della conservazione della tradizione artistica del passato nella modernità.
In questo modo abborda uno dei nodi costanti della cultura urbana attuale, già evidenziato da Giulio Carlo Argan in numerosi scritti: la relazione tra cultura umanistica e storica del passato e il sapere scientifico e tecnologico.
Il riferimento anteriore alla pittura di De Chirico si rivela allora ricco di significato. L’arte metafisica sarebbe approdata al “Ritorno al mestiere”, per citare il titolo di un saggio del pittore pubblicato nel 1919, cioè al superamento dell’avanguardia e alla riflessione sui valori trasmessi dalla propria storia delle tecniche artistiche.
Nel momento in cui l’esistenza della grande tradizione tecnica del passato sembra messa definitivamente in questione dalle tecnologie digitali e dalle scienze dell’informazione, la mostra propone, invece, una più attenta considerazione di quella esperienza storica proprio attraverso l’integrazione dei mezzi della scienza e della tecnologia.
Per rendere più evidenti e accessibili al pubblico non specializzato il percorso curatoriale è opportuno che questo sia composto con diverse risorse tecnologiche quali il video e le immagini fotografiche, che partendo dall'estraniamento provocato nel visitatore lo conducano attraverso le varie fasi della realizzazione delle opere mettendo in evidenza il significato del processo creativo dell’autore.
gennaio 2018
Luciano Migliaccio è professore nella Facoltà di Architettura e Urbanismo della Università di San
Paolo (FAU USP) e curatore aggiunto per l'Arte Europea del MASP (Museu de Arte
de São Paulo).
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